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Dove esiste “un verde dalla gamma così ampia e variata, che va dal verdino quasi puro di un germoglio che spunta fino al verde cupo della foresta”? Un azzurro così trasparente, un bianco così luminoso, un’ocra così caldo, un bruno che sembra uscire dalle viscere della terra? E potremmo continuare a comporre questa sorprendente tavolozza cromatica certi di un’unica risposta: a Cuba e nei dipinti di Nestor Libardo Naranjo Ramirez!
Forse è per questa ricchezza e voracità del colore che anche il carattere dei cubani è così caldo, così aperto verso la vita, così pronto all’entusiasmo. Siamo in un paese povero che può riassumere la razione minima di cibo destinata ai suoi abitanti in un elenco brevissimo: una pagnotta, un pizzico di sale, quattro uova e un pomodoro.
Qui le donne hanno uno sguardo irresistibilmente caldo e sensuale, gli uomini al lavoro nelle grandi piantagioni di tabacco esprimono una loro forza tranquilla: l’amore per la vita è l’impulso che pervade la storia di questa isola straordinaria, dal giorno in cui apparve a Cristoforo Colombo “la più bella delle terre”, ai momenti più euforici della rivoluzione castrista.
Il fascino delle architetture coloniali vive il richiamo del Mar dei Caraibi, la calda accoglienza di una gente che sorride anche dinnanzi alle difficoltà: Cuba è questo e anche molto di più.
È il mistero di un “africanità” che vive ancora nei riti della santeria, è musica, è il dolce sapore della frutta esotica, è il gioco festoso dei bambini che corrono sotto la pioggia intensa a torso nudo.
Qui bianca, di un bianco immacolato, la sabbia contrasta con il verde intenso e delle mangrovie e dell’uva caleta.
Abbondano anche spiagge di sabbia grigia o ancora più scure, come riflesso dell’universo umano che popola il Paese.
Cristoforo Colombo che “non vide mai cosa si bella” fu rapito dal paesaggio e a distanza di cinque secoli da quella domenica d’ottobre 1492, l’allucinante esuberanza del verde racconta le vicende del colonizzatore e del colonizzato, del bianco e del nero che formano l’essenza della cubanità. Un intreccio in cui l’elemento spagnolo, quello africano e quello nordamericano concorrono a fare del cubano un essere indipendente, ingegnoso, innovatore e fiero.
Nascere e vivere in un Paese che non può godere del diritto ad una esistenza più giusta e che non ha raggiunto la sua pienezza crea disperanti dipendenze e speranzosi sogni d’emancipazione. Per secoli l’indigeno conquistato e colonizzato, l’africano schiavizzato e il creolo bianco o meticcio che aspira a governare il proprio destino hanno lottato per recuperare la loro libertà. Il cubano, figlio di europei, di africani, di asiatici, o incrocio di questi, ha vissuto immerso in una serie di tirannie e rivoluzioni.
E dal verde perenne, che affascinò Colombo, il cubano ha tratto il devastante scompiglio del suo spirito, il ribollire dei suoi sentimenti più profondi, qualcosa di endemico che negli ultimi due secoli s’è manifestato come un’ossessione: fare di Cuba una nazione libera, indipendente, sovrana.
Ma nonostante sempre più, in questi ultimi tempi, si allontani dalla sua terra, il cubano è essenzialmente un nostalgico: dovunque si trovi, soffre ansie di fuga, considera una condanna non poter tornare a vivere e morire sul suolo natio e pensa che il suo peccato originale sia averlo abbandonato.
Tutto ciò traspare nella pittura di Nestor Libardo Naranjo Ramirez.